Ecco alcuni rudimenti sulla filosofia di ripresa in un ambito piuttosto specifico come quello del documentario.

Ricordiamo (ce ne fosse ancora bisogno), che prima di partire a fare delle riprese si deve aver fatto un lavoro preparatorio di inchiesta.  Altrimenti rischiamo di muoversi un po’ confusi, senza una precisa direzione. Insomma corriamo il concreto pericolo di perdere tempo e/o di trasferire la confusione sul lavoro da realizzare.

Ma, ammesso dunque che il lavoro preparatorio di progettualità sia stato svolto, come ci gestiamo una volta che siamo sulla scena da riprendere? Insomma si, come girare, come fare le riprese?

Anzitutto, prima ancora di accendere la camera, bisogna mettersi ad osservare quello che sta succedendo sulla scena. Immergersi nella situazione che stiamo riprendendo. Viverla. Capirla. Analizzarla con la testa ed il cuore. Intuire tutte le possibilità narrative che essa può contenere. Si, insomma, con un occhio non solo a quello che viene inquadrato ma anche a quello che capita fuori campo; non solo a quello che succede in primo piano ma anche a quello che avviene sullo sfondo.

In gergo si dice che si devono FARE RESPIRARE LE INQUADRATURE.
Cosa si intende con questa espressione? Significa che bisogna lasciar vivere gli eventi dentro al quadro di ripresa. Non catturare singoli istanti. Non interrompere sul più bello. Ogni fatto che si compie in scena, anche il più piccolo gesto, ha sempre un inizio, uno sviluppo ed una fine. Gli eventi vanno dunque catturati nella loro interezza in modo da poter aver ampio margine di racconto in fase di montaggio. Sarà poi in quella fase che decideremo cosa utilizzare o meno e il passo da dare alla narrazione visiva. Ma durante la ripresa non dobbiamo precluderci possibilità espressive. Sarebbe un errore.

Nel concreto quali sono questi eventi? Nel caso del video che potete visionare qui sotto diciamo possono ad esempio essere la bagnante con le sue incertezze prima di entrare in acqua; il marito che che si fa il segno della croce prima di tuffarsi; non ultimo il gabbiano che fa la cacca sul pilone. Insomma come dire, la musica celestiale e infinita delle piccole cose !

 

Un’altra considerazione molto importante che ci deve guidare mentre stiamo per compiere delle riprese  riguarda la loro successiva MONTABILITA’. Come riusciremo a raccordare un’inquadratura con un’altra? Siamo in grado di farlo? O abbiamo bisogno di un’altra ripresa? In genere è sempre bene catturare un totale, un primo piano, un controcampo e naturalmente alcuni dettagli significativi di raccordo. In particolare l’inquadratura di controcampo è davvero un modo ottimo per fare raccordo di montaggio. Molto intuitivo e dunque molto trasparente agli occhi di chi guarda.

COME POSSIAMO COMPORRE UNA BUONA INQUADRATURA?
Diciamo anzitutto che c’è la “regola dei terzi”. La regola prevede di tracciare due linee immaginarie in senso orizzontale e verticale sul nostro quadro di ripresa. Per avere una buona inquadratura bisogna porre il soggetto da riprendere nei punti di intersezione delle suddette linee. Molte macchine fotografiche e videocamere hanno una funzione apposita a tale riguardo che mostra la griglia sopra l’immagine da riprendere in modo da facilitare l’applicazione della suddetta regola.

regole-composizione-fotografia-terzi

Certo bisogna sottolineare che solo sviluppando un proprio senso artistico impareremo a comporre una buona inquadratura. Dunque vale la pena di studiare attentamente le composizioni di quadro dei grandi registi. Ma anche trarre ispirazione dai pittori del passato che per secoli si sono dedicati alla difficile arte di inquadrare soggetti.

TECNOLOGIA SI, TECNOLOGIA NO?

Non è un segreto che le videocamere odierne abbiano una qualità video sorprendente, che fino a poco tempo fa era disponibile solo a pochi professionisti del settore. Non è nemmeno un segreto che le suddette videocamere siano dominate da automatismi che coprono quasi tutte le condizioni di ripresa. Ciò è bene e male nello stesso tempo. Perché alcuni meccanismi per quanto sofisticati non sono del tutto efficienti. Dunque il nostro consiglio è poca tecnologia nelle riprese.
Un esempio? Pensate all’autofocus.
I primi sistemi a tale riguardo funzionavano sulla distanza (infrarossi o ultrasuoni) e facevano confusione con vetri e specchi. Oggi il sistema autofocus si è notevolmente perfezionato ed utilizza il metodo del massimo contrasto (differenza d’intensità tra un pixel e l’altro). Ma il sistema continua a fare errori con elementi poco illuminati o quando soggetto inquadrato si muove. Credo sia successo a tutti di sperimentare in una ripresa il fastidioso fenomeno del fuoco che si perde per poi successivamente tornare. Per evitare un problema del genere l’unica scelta possibile è quella di focus manuale. Soprattutto quando il soggetto rimane ad una distanza prefissata.

COME FARE LE RIPRESE?
DA CHE PUNTO RIPRENDERE?

Molti tendono ad usare punti di vista insoliti perché li considerano più interessanti ed originali. Sperimentare è sempre interessante ma nella maggior parte dei casi conviene posizionare la videocamera in modo ortodosso più o meno all’altezza dell’occhio umano. Ciò aiuta a rendere “trasparente” la presenza di chi opera la ripresa e riduce la distrazione dello spettatore. In generale poi bisognerebbe riprendere senza farsi accorgere (magari con teleobiettivo) per evitare che le persone perdano la loro naturalezza.

RIPRESE FISSE O IN MOVIMENTO?
Ci sono varie scuole di pensiero al riguardo. Io propendo per una ripresa fissa su cavalletto. Perchè?
Anzitutto per un problema estetico. Non è facile fare un buon movimento di macchina. Dunque se non si riesce bene a farlo, meglio non farlo proprio. In molti casi infatti la videocamera rischia di vibrare o muoversi a scatti e la visione dell’immagine può diventare davvero fastidiosa. Certo le videocamere sono dotate di uno stabilizzatore digitale (ottico nel migliore dei casi) che riduce il tremito ma non lo annulla mai del tutto.
In più c’è una ragione molto più pragmatica per usare poco movimento di macchina. Un ripresa fissa è sempre montabile. Invece non si può dire certo il contrario.
E poi c’è una ragione, di natura vero e proprio filosofica. Il movimento della macchina rischia di richiamare l’attenzione troppo su di se quando non è davvero motivato. Quando si muove una videocamera infatti si rivela sempre e comunque la presenza di un operatore che sta riprendendo. L’esistenza di un qualcuno che sta costruendo. Tutto ciò rischia di distrarre lo spettatore e farlo uscire dal flusso narrativo emotivo in cui è immerso.
Ovviamente in certe situazioni il movimento è essenziale. Serve a raccontare. In questo casi si consiglia di muovere la camera nel modo più fluido possibile. Muoversi quando il soggetto ripreso si muove (perché lo spettatore è distratto da quello che sta facendo in scena la persona che si muove) e rimanere fermi quando il soggetto si ferma. Solo così si riuscirà a rimanere il ”più trasparenti” possibile e l’effetto risulterà molto più bello sotto il profilo estetico.

MONTAGGIO INTERNO?
I movimenti di macchina, gli zoom in e zoom out rappresentano un vero e proprio linguaggio con cui si si guida l’attenzione dello spettatore all’interno della scena. In questi casi si parla di “montaggio interno” come a dire che questo tipo di interventi sono già di per sè una sorta di montaggio vero e proprio E sono molto condizionanti all’interno di una ripresa. Dunque ci dobbiamo stare molto attenti. In altre parole non si deve “montare in macchina” mentre si gira perché questo vincola la montabilità successiva del materiale e riduce la creatività potenziale in fase di montaggio. Si deve invece riprendere materiale montabile.

Dopo queste considerazioni il mio consiglio è quello di sperimentare: solo così facendo si diventa esperti.