Come forse sapete la scrittura di un documentario avviene in due fasi. C’è la prima fase di scrittura; quella di inchiesta. Necessaria a sviluppare una cultura sull’argomento che si vuole trattare. Dunque si sceglie un’ambito che si vuole approfondire. Possibilmente il più “nuovo” possibile, quello che è stato meno esplorato e risulta potenzialmente più originale di altri. Ci si arma di penna e taccuino e si comincia ad andare in giro. A chiedere. Domandare. Cercare informazioni utili. Parlare con le persone. Trovare storie e personaggi forti. E si comincia a buttare i pensieri su carta. A riorganizzare le idee. Alle volte è opportuno aiutarsi con schemi.
Una volta terminata questa fase e dopo aver fatto una scaletta delle riprese necessarie si accende la videocamera e si inizia finalmente a riprendere.
Quando ci si mette a valutare il materiale acquisito, inizia la seconda fase di scrittura del documentario. Ci si immerge nel girato fino a cogliere tutte le emozioni contenute. Guardare i materiali per la prima volta può far sorgere delle sensazioni, di cui dobbiamo tenere traccia. Le emozioni che proviamo all’inizio potrebbero infatti diluirsi a forza di rivedere il materiale. Dunque vale proprio la pena prendere delle annotazioni.
Finalmente si inizia a capire cosa si ha e cosa non si ha. Cosa siamo in grado di raccontare o meno, con il materiale acquisito. Si può decidere di andare a fare altre riprese di integrazione se consideriamo quelle già fatte insufficienti. Ma comunque dobbiamo ancora pazientare prima di buttarci a capofitto nel montaggio. Prima di essere posseduti dal sacro fuoco di tagliare o assemblare spezzoni.
Tenere il materiale in sospensione per un po’ significa infatti aiutarlo a lievitare. Consente di far venire a galla tutte le possibilità narrative che vi sono insite. Dunque in questa fase il montaggio si fa ancora con la testa. Se la documentazione a disposizione è molta ci si può aiutare con una timeline analogica su un cartellone per riordinare idee e materiale. Si possono utilizzare post it di colori diversi per segnalare rispondenze o dissonanze che potrebbero farci individuare nessi, legami, correlazioni tra argomenti. Piano piano la struttura narrativa si evidenzia, emerge.
Ecco allora che si può iniziare ad imbastire un primo montaggio per vedere realizzata l’ipotesi che abbiamo sviluppato in mente. Anche qui conviene annotare le impressioni che si provano nel vedere per la prima volta il lavoro montato. Poi si può procedere a muovere delle scene o magari ritagliarle ulteriormente. Una vivace raccomandazione è quella di essere alquanto spietati nel togliere. Mai affezionarsi al proprio punto di vista di autore. Sempre mettersi nei panni dello spettatore. Il ritmo si ottiene per aggiustamenti successivi, accelerando e rallentando il flusso della narrazione.
Soprattutto bisogna stare attenti a non sovraccaricare il racconto con troppi dettagli perché si corre il rischio di distrarre lo spettatore e spingerlo nella direzione del guardare piuttosto che interpretare le immagini. Anche una scena di troppo può alterare la percezione di un lavoro nel suo complesso. Dunque bisogna preoccuparsi di mantenere un equilibrio non solo di ritmo ma anche di contenuto.
Se una scena è buona muta, con il sonoro può solo migliorare. Dunque per analizzarla vale la pena togliere l’audio e vedere se funziona. Mescolare suoni ed immagini è una operazione decisamente magica; Invoca molta forza e rischia di condizionare molto il risultato. Dunque anche in questo caso conviene aspettare di aver strutturato la narrazione prima di unire il sonoro e farlo sempre con molta misura.
Il lavoro che vedete qui sotto è stato realizzato da me, da Fabio Montella e da Alessandro Raimondi in occasione del Conero Doc Campus dove abbiamo avuto il grande privilegio di ricevere gli insegnamenti da Pietro Marcello, Sara Fgaier e Tarek Ben Abdallah.