Il modello di sceneggiatura in 3 atti è il principale modello di riferimento (assieme al viaggio dell’eroe) per la maggioranza dei film di intrattenimento. Il modello ha precise caratteristiche: un protagonista verso il quale proviamo empatia di identificazione che affronta un percorso di conflitto esteriore ma anche di grande conflitto interno.

Il modello si compone di tre atti.
Ciascun atto monta la giusta tensione che conduce all’atto successivo secondo lo schema

TRASGRESSIONE (1° atto) 
RICONOSCIMENTO (2° atto) 
REDENZIONE (3° atto)

Il 1° atto prepara il conflitto e conduce il protagonista verso una soluzione solo illusoria del suo problema.
In realtà la scelta che fa il protagonista è per definizione erronea cosicché si possa procedere al 2° atto lungo il quale il protagonista arriverà lentamente (e finalmente) alla consapevolezza di se stesso e della strada sbagliata intrapresa.
Si arriverà così al 3° atto dove finalmente il nostro protagonista avrà la possibilità di redimersi.
Durante la maggior parte del secondo atto (che ricordiamo è l’atto più lungo di un film) lo SCS (Spettatore Comune da Sala) si ritrova ad anticipare le intenzioni del protagonista ed è già consapevole di quello che invece il nostro personaggio comprenderà alla fine del secondo atto.

A quel punto la storia sembrerà come arretrare e lo spettatore finalmente si riallineerà con il protagonista e con la sua consapevolezza finalmente illuminata. Da quel punto in poi il nostro personaggio di riferimento sarà destinato a trionfare.
Fatte queste premesse possiamo dunque capire che ci troviamo di fronte ad una forma di narrazione molto rigida e fin troppo positiva, i cui limiti sono fin troppo evidenti.
Il modello di sceneggiatura in 3 atti è certo in grado di sviluppare storie immediatamente riconoscibili, perché legate ad un modello di stereotipo connaturato alla nostra morale pre-esistente (il vantaggio per l’industria cinematografica di massa) ma è anche fortemente limitato sotto il profilo espressivo non riuscendo a catturare personaggi e finalità di espressione più sfumate e meno tipizzabili.

 

Dunque il modello dei tre atti attraverso il processo di redenzione assomiglia molto ad un racconto morale che tende a riaffermare un’etica preesistente e che ci suggerisce un mondo ordinato e chiaro in cui i personaggi controllano i propri destini. Come dire che è assai falsa la premessa fondamentale su cui i modello è poggiato. Il mondo non è un regno coerente, giusto, buono sensibile alla bontà e alla verità (basta accendere un telegiornale per rendersi conto di questo!)
Dunque in una sceneggiatura basata su tale modello il movimento in avanti della storia avviene a scapito non solo di una ricchezza espressiva ma soprattutto della verità.

Per ovviare a tali evidenti limiti si può agire in modo ironico sulla struttura (cercando di sminuire il processo di redenzione e la morale da esso sottesa) oppure si può cercare di minimizzare la struttura andando verso una direzione che potremmo definire di approccio più autoriale (vedi schema di sceneggiatura di Gus van Sant etc etc ).