Quante volte abbiamo osservato uno scatto del nostro volto non sentendoci appieno rappresentati dal risultato ottenuto?
Quanti selfie siamo soliti scattare/scartare prima di riuscire a intercettare quello “giusto”, quello cioè giudicato da noi, più rappresentativo a narrare la nostra identità sociale?
Selfie, un breve ed efficace neologismo, nato per indicare lo strumento più in voga del momento volto a creare la propria immagine sociale ma anche l’incarnazione postmoderna di una forma espressiva molto antica come quella dell’autoritratto fotografico. E anche una sorta di evoluzione-involuzione dello stesso.
Perché se il selfie nasce per essere condiviso nei social network e calamitare i like, nel tentativo di compiacere il proprio ego con la valuta sonante dei social, l’autoritratto rappresenta invece un interessante e proficuo strumento per tentare di analizzare se stessi.
Nell’autoritratto infatti l’autore è, allo stesso tempo, anche soggetto e spettatore dell’atto creativo, e dunque viene a cadere la necessità di rappresentare solo le parti migliori o socialmente accettabili di se stessi, per avviarsi invece su un sentiero di indagine conoscitiva della molteplicità del proprio io. Un percorso affascinante di conoscenza di sè.
Ed è solo dall’analisi comparata di questi due strumenti, selfie e autoritratto, e dal loro uso congiunto che scaturiscono preziosi, interessanti e inaspettati i benefici di un percorso di crescita, conoscenza e consapevolezza interiore che avviene attraverso le immagini.
Ecco lo spot che ho realizzato riguardo a un interessantissimo laboratorio di fotografia terapeutica.